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Cosa sono le onde d’urto?

Caratteristiche fisiche e tecniche

Le onde d’urto trovano oggi molte applicazioni in medicina. Mentre all’inizio venivano usate solo per rompere i calcoli renali, ora vengono impiegate anche nella terapia ortopedica del dolore o per trattare i pazienti con il morbo di Alzheimer, tra le altre cose.

Per capire questa incredibile gamma di applicazioni, vale la pena dare un’occhiata alle proprietà fisiche delle onde d’urto, che sono responsabili dei diversi effetti medici:

Oggi, le onde d’urto e le onde pressorie extracorporee trovano impiego nei più diversi settori della medicina. A seconda del tipo di applicazione si parla di terapia extracorporea a onde d’urto (ESWT) o, riguardo al trattamento della calcolosi in ambito urologico, di litotripsia extracorporea a onde d’urto (ESWL).

Si tratta di un trattamento non invasivo, le cui origini risalgono agli anni ‘60 del secolo scorso, nato dall’idea di generare onde d’urto all’esterno del corpo per immetterle poi al suo interno per frantumare calcoli renali e biliari, senza danneggiare i tessuti antistanti.

La prima litotripsia con esito positivo su un paziente1, 2, 3 fu effettuata a Monaco di Baviera dal professor Christian Chaussy nel febbraio del 1980. Dopo questa prima riuscita esperienza, le onde d’urto furono impiegate sempre più frequentemente anche in altri campi della medicina, ad esempio per il trattamento delle pseudoartrosi4, 5 o di condizioni patologiche a livello delle inserzioni tendinee6. Nel frattempo ai primi campi d’applicazione se ne sono aggiunti molti altri, eppure, a quanto pare, non si sta ancora sfruttando al massimo il potenziale di questo tipo di terapia.

Le onde d’urto furono impiegate per la prima volta su un paziente all’inizio del 1980, per frantumare un calcolo renale.

Onde d’urto e onde pressorie a confronto

Nella prassi trovano impiego sia le onde d’urto focalizzate che le onde pressorie radiali. Benché dal punto di vista della fisica non sia corretto, le onde pressorie radiali sono spesso chiamate onde d’urto radiali.

Le onde d’urto e le onde pressorie si differenziano non solo per le diverse tecniche di generazione, ma anche per i parametri fisici abitualmente impiegati e la profondità di penetrazione nel tessuto a fini terapeutici.

Il compendio che segue offre importanti nozioni generali sulle differenti caratteristiche fisiche e tecniche e sulle diverse forme di applicazione dei due metodi.

Benché dal punto di vista della fisica non sia corretto, le onde pressorie radiali sono spesso chiamate onde d’urto radiali.


Onde d’urto focalizzate

Cosa sono le onde d’urto?

Le onde d’urto sono onde acustiche. Nell’atmosfera le onde d’urto sono conseguenza di eventi o fenomeni con dinamica esplosiva, come nel caso delle detonazioni, dei fulmini oppure del superamento del muro del suono da parte di un aereo. Le onde d’urto sono impulsi acustici con un’elevata ampiezza pressoria positiva e un rapidissimo aumento di pressione rispetto alla pressione ambiente, in grado di far giungere l’energia a zone lontane dal punto di generazione dell’energia stessa in un breve lasso di tempo, e là far scoppiare i vetri delle finestre, ad esempio. 

Le onde d’urto si propagano come un’esplosione e sono in grado di far scoppiare i vetri delle finestre di edifici ubicati a molta distanza.

Onde d’urto e ultrasuoni a confronto

Le onde d’urto sono affini alle onde ultrasonore. La differenza principale è data dal fatto che le ampiezze pressorie delle onde d’urto sono particolarmente grandi, per cui è necessario considerare un “effetto irripidimento” (fig. 3) dovuto alla non linearità del mezzo di propagazione (acqua, tessuto biologico). Altre differenze: l’ultrasuono si manifesta normalmente sotto forma di vibrazioni periodiche con una gamma di frequenza stretta (fig. 1), mentre le onde d’urto sono rappresentate da un unico impulso pressorio, perlopiù positivo, cui segue un impulso pressorio negativo relativamente limitato (fig. 2). In un impulso di questo tipo si hanno frequenze con un range che può variare da alcuni kilohertz a più di 10 megahertz1, 7, 8.

Le onde d’urto sono impulsi, mentre l’ultrasuono è una vibrazione continua.

Come si generano le onde d’urto focalizzate

Le tecniche di generazione delle onde d’urto focalizzate sono tre: elettroidraulica, piezoelettrica o elettromagnetica (fig. 4). Nel caso della generazione elettroidraulica le onde d’urto si formano direttamente in corrispondenza della sorgente delle onde, mentre nel caso di quella piezoelettrica ed elettromagnetica si formano nell’area focale (fuoco), ossia nella zona di massima intensità, in seguito all’irripidimento e per sovrapposizione.

Per l’applicazione medica delle onde d’urto è particolarmente importante tenere conto del fatto che la grandezza del campo focale varia in funzione del metodo di generazione delle onde. Il campo focale minore è quello delle onde d’urto a generazione piezoelettrica, mentre quello di maggiori dimensioni è quello a generazione elettroidraulica. Di conseguenza il dosaggio necessario per un determinato trattamento dipende anche dall’apparecchiatura impiegata1, 8.

Esempio: Generazione elettromagnetica delle onde d’urto

La generazione elettromagnetica delle onde d’urto si basa sul principio fisico dell’induzione elettromagnetica. Questo metodo consente un dosaggio estremamente preciso e delicato dell’energia a onde d’urto applicata. Ideale è l’impiego di una sorgente delle onde d’urto costituita da una bobina cilindrica e da un riflettore sotto forma di paraboloide di rotazione. Ciò consente una definizione molto precisa dell’area focale, che risulta riproducibile con esattezza sia in direzione assiale (in profondità) sia lateralmente. Data l’apertura relativamente grande della sorgente delle onde d’urto rispetto alle dimensioni dell’area focale, la trasmissione dell’energia prodotta dalle onde d’urto attraverso una superficie di accoppiamento opportunamente dimensionata è praticamente indolore. L’energia, infatti, viene liberata sostanzialmente solo nell’area focale relativamente piccola all’interno del corpo (fig. 5).

Le onde d’urto generate per via elettromagnetica sono praticamente indolori e permettono un dosaggio molto preciso.

Propagazione delle onde d’urto focalizzate

Le onde d’urto sono onde acustiche e per propagarsi hanno bisogno di un mezzo di propagazione come l’acqua o l’aria. Nel caso delle onde d’urto impiegate in medicina, il mezzo più usato è l’acqua, che serve per generare le onde d’urto all’esterno del corpo, che poi vengono accoppiate al tessuto biologico. Essendo questi composti in gran parte da acqua, la trasmissione del suono nei tessuti ha caratteristiche molto simili a quella che avviene nell’acqua. Queste caratteristiche sono rappresentate dall’impedenza acustica (Z). Di conseguenza il passaggio dell’onda al tessuto biologico avviene senza perdite significative. La formula che definisce l’impedenza acustica è la seguente:

Le interfacce, sulle quali i parametri acustici densità (ρ) e velocità del suono (c) subiscono un’alterazione, inducono uno scostamento dalla diffusione lineare delle onde in seguito a fenomeni tipicamente ottici come rifrazione, riflessione, dispersione e diffrazione. Nell’impiegare le onde d’urto in medicina per il trattamento dei pazienti bisogna tenere conto di questi effetti, per garantire che l’azione dell’energia nella zona di trattamento dia i risultati desiderati.

Analogamente a ciò che accade quando la luce colpisce uno specchio, le onde d’urto vengono riflesse e rifratte in corrispondenza di interfacce acustiche. Maggiore è la differenza fra l’impedenza acustica dei due mezzi maggiore è l’effetto.

Non stupisce quindi che per frantumare dei calcoli renali con il primo apparecchio di questo tipo il paziente venisse immerso in una vasca piena d’acqua. Le apparecchiature moderne sfruttano invece il cosiddetto accoppiamento “a secco”. In questo caso, il bagno d’acqua viene applicato sul corpo attraverso una membrana flessibile di accoppiamento. Lo strato di aria interposto viene eliminato utilizzando gel di accoppiamento oppure una sottile pellicola d’acqua.

Uno strato d’aria o bolle d’aria interposti fra sorgente delle onde d’urto e corpo riducono notevolmente l’efficacia del trattamento.

Indipendentemente da ciò, bisogna fare attenzione a che la zona di trattamento non sia localizzata dietro organi gassosi (polmoni) o strutture ossee di grandi dimensioni. Queste strutture costituirebbero infatti uno schermo davanti alla zona bersaglio, impedendo il subentrare dell’effetto terapeutico desiderato. Inoltre, l’energia liberata danneggerebbe il tessuto polmonare anteposto colpendolo prima di raggiungere il bersaglio (controindicazione).

Infine bisogna tener conto del fatto che anche i tessuti molli (pelle, lipidi, muscoli, tendini ecc.) non hanno omogeneità acustica e presentano interfacce. Tuttavia le differenze in fatto di caratteristiche acustiche sono decisamente minori rispetto a quelle che si hanno nel passaggio fra acqua ed aria e viceversa. Oltre ad assorbimento e riflessione, vi sono anche effetti di rifrazione che possono causare scostamenti poco controllabili della propagazione lineare delle onde d’urto all’interno del corpo.

 
Parametri e misurazione delle onde d’urto / Pressione delle onde d’urto

Per caratterizzare le onde d’urto ci si rifà perlopiù a misurazioni effettuate con sensori di pressione8. Misurando le onde d’urto impiegate in medicina (fig. 2) si rilevano per la pressione di picco (p+) valori tipici che variano da circa 10 a 100 megapascal (MPa), ossia valori da 100 a 1000 volte maggiori rispetto alla pressione atmosferica. I brevissimi tempi di incremento si aggirano fra i 10 e i 100 nanosecondi (ns) in funzione della modalità di generazione. Anche la durata dell’impulso di circa 1000 nanosecondi (1 μs) è decisamente breve (rispetto alle onde di pressorie usate in medicina descritte, veda anche la fig. 15). Un’altra caratteristica delle onde d’urto è l’impulso pressorio negativo (p) relativamente breve, equivalente al 10% circa della pressione di picco p+.

Riportando in un grafico tridimensionale le pressioni di picco p+ misurate in diversi punti all’interno del campo focale delle onde d’urto (in direzione assiale rispetto alla propagazione delle onde d’urto e lateralmente, ossia in verticale, rispetto a queste) si ottiene una distribuzione della pressione tipica, come quella illustrata nella fig. 6. Si nota che il campo delle onde d’urto non presenta nessuna demarcazione netta, ma ricorda la forma di un picco montuoso, con la vetta al centro e fianchi che digradano con un andamento più o meno ripido. Per questo motivo si parla anche di “picco pressorio”, la cui forma ed altezza variano in funzione dell’apparecchiatura di generazione delle onde d’urto.

Campo focale delle onde d’urto

Il volume focale delle onde d’urto viene definito come parte del “picco pressorio” nella quale la pressione è uguale o maggiore al 50% della pressione di picco (fig. 6 e fig. 7). Per tale zona si usano anche la definizione di area focale -6dB o l’acronimo FWHM (Full Width at Half Maximum).

Zona di trattamento 5 MPa

Per spiegare con chiarezza in che area le onde d’urto sprigionano il proprio effetto biologico bisogna indicare anche un dato energetico. In altre parole: la zona di trattamento sulla quale le onde d’urto agiscono all’interno del corpo non si definisce mediante la dimensione dell’area focale -6dB, questa può essere infatti più grande o più piccola di quest’ultima. Per questo motivo è stata definita un’altra grandezza, che ha un nesso più stretto con l’efficacia terapeutica e non fa riferimento a grandezze relative (alla pressione di picco nel centro) ma a grandezze assolute, ossia alla pressione 5 MPa (50 bar). Partendo da qui, il volume focale 5 MPa è definito come la zona in cui la pressione delle onde d’urto è maggiore o uguale a 5 MPa. Tale definizione si basa sull’ipotesi che vi è una determinata soglia di pressione al di sotto della quale l’effetto terapeutico delle onde d’urto è nullo o minimale.

Non vi è un’evidenza scientifica che attesti il valore 5 MPa. Il vantaggio della definizione di cui sopra è tuttavia quello di rispecchiare la modificazione della zona di trattamento in concomitanza con l’impostazione scelta per l’energia. La fig. 8 illustra schematicamente le differenti zone e le loro modificazioni in funzione dei livelli di energia selezionati. Per contro, variando i parametri energetici l’area focale -6dB non subisce cambiamenti degni di nota.

L’area focale è la zona in cui si ha la maggiore intensità energetica. La sua grandezza è sostanzialmente slegata dai parametri impostati per l’intensità. Per contro, la zona di trattamento dipende dai parametri di intensità impostati e di regola è maggiore dell’area focale.

Energia (E)

Nella prassi l’energia delle onde d’urto applicate è un parametro importante5, benché oggi il principale parametro di riferimento sia la densità di flusso energetico. In questo contesto si può supporre che gli effetti delle onde d’urto nel tessuto si hanno solo se l’energia supera una determinata soglia di attivazione. Il livello di energia si rileva per integrazione dall’andamento della curva di pressione p(t) ed è proporzionale alla superficie (A) e inversamente proporzionale all’impedenza acustica (Z):

Si differenzia rilevando se l’integrazione della pressione nel lasso di tempo include solo gli impulsi pressori positivi (E+) o anche quelli negativi (Etotale). Normalmente E (senza indice) rappresenta l’energia totale. L’energia acustica di un impulso d’onda d’urto si indica in millijoule (mJ). Di regola per ogni trattamento si rilasciano diverse centinaia o migliaia di impulsi d’urto. L’energia rilasciata complessivamente risulta dalla moltiplicazione per il numero di impulsi1, 8.

Densità di flusso energetico (ED)

L’effetto terapeutico delle onde d’urto è legato alla ripartizione dell’energia prodotta dalle onde d’urto, vale a dire se questa interessa una superficie ampia o si concentra su una zona di trattamento (area focale) ristretta. Una grandezza per definire la concentrazione dell’energia si ottiene misurando l’energia per unità di superficie (E/A):

La densità di flusso energetico (ED) si indica in millijoule per millimetro quadrato (mJ/mm2). Anche nel caso della densità di flusso energetico l’integrazione si differenzia solo attraverso la componente positiva o compresa quella negativa della curva della pressione. Normalmente l’indicazione ED (senza indice) rappresenta la densità di flusso energetico totale, ovvero la curva della pressione inclusi gli impulsi pressori negativi.

Le prime apparecchiature ad onde d’urto sfruttavano il principio elettroidraulico e, diversamente da oggi, i livelli d’energia non si indicavano in mJ/mm2 ma con l’unità di misura della tensione (kV).

Quantità di moto

Finora si è poco considerato che l’onda d’urto possiede una quantità di moto. Come per l’energia, la quantità di moto di un’onda d’urto viene definita mediante l’integrazione della pressione sul tempo, con la differenza però che la pressione non viene prima elevata al quadrato. Il segno rimane pertanto invariato e il carattere vettoriale della quantità di moto fornisce, in ragione della porzione positiva della pressione, una quantità di moto nella direzione di propagazione dell’onda d’urto, mentre la porzione negativa (trazione) genera una quantità di moto più piccola in direzione opposta. A causa della forma asimmetrica dell’impulso dell’onda d’urto, le due quantità di moto successive non si compensano, generando un’interazione contraddistinta da elevata pressione e bassa trazione. L’ultrasuono continuo, al contrario, compensa ampiamente le fasi alternate di trazione e pressione cosicché la quantità di moto risultante può raggiungere solo dimensioni relativamente ridotte.

La quantità di moto dell’onda d’urto è fondamentale sia nella litotripsia ad alta energia sia nella stimolazione biomedicale a bassa energia34.

La quantità di moto dell’onda d’urto svolge pertanto un ruolo particolarmente importante, poiché costituisce un mezzo per esercitare forze sulla materia. Quando un’onda d’urto si propaga ad esempio nel tessuto biologico, non subisce grandi disturbi finché non incontra interfacce tissutali in cui si assiste a repentine alterazioni della densità del tessuto ρ e/o della rispettiva velocità del suono c, ovvero dell’impedenza acustica Z = ρ c. In tale frangente, la quantità di moto dell’onda si suddivide per riflessione in due porzioni: la prima continua a correre attraverso l’interfaccia mentre la seconda viene invece da essa riflessa. La porzione trasmessa e riflessa dell’onda è determinata dal coefficiente di riflessione (R).

Ne deriva quindi che la porzione riflessa è più ampia ad esempio lungo le interfacce dure, come i calcoli, e minore lungo quelle morbide, come i tendini e le fibre muscolari. A questo discorso si legano direttamente forze che, esercitate sulle diverse interfacce, possono essere sfruttate sia per frantumare materiale friabile, come nel caso dei calcoli, sia per stimolare materiali elastici come i tessuti molli del corpo.

Il principio fisico dello sviluppo della forza nell’ambito del fenomeno di riflessione fu riconosciuto già nel 1687 da Isaac Newton, il quale asserì che qualsiasi variazione della quantità di moto è resa possibile solo in relazione all’azione di una forza.

In generale, secondo Newton si ha:

Nello specifico, un corpo con massa m che si muove con velocità v possiede una quantità di moto P = mv. Se durante il movimento il corpo viene accelerato o frenato, la sua velocità varia. La forza che agisce è F = m(dv/dt). A seconda della direzione, si parla di forza di accelerazione o forza di frenatura.


Effetti fisici e biologici delle onde d’urto

Effetto diretto su interfacce

Il meccanismo d’azione selettivo dell’onda d’urto sui diversi tessuti e materiali d’interfaccia è stato a lungo ignorato. Tuttavia, esso costituisce il fondamento di varie applicazioni mediche e spiega perché molti tipi di tessuto possano essere percorsi senza riportare danni sostanziali e perché presso le interfacce interessate sia osservabile a carattere selettivo un rilascio di forza che va dall’effetto terapeutico alla frantumazione di calcoli. Il meccanismo fisico del trasferimento della quantità di moto e il conseguente effetto dinamico possono pertanto essere ritenuti responsabili dell’azione delle onde d’urto in campo medico.

Le onde d’urto possono sviluppare forze non solo a carattere selettivo nelle aree tissutali prossime alla superficie. Per via delle componenti ad alta frequenza nell’ordine di megahertz e le minori lunghezze d’impulso correlate, pari a pochi millimetri, è possibile focalizzare le onde d’urto in aree corporee più profonde dove, grazie al meccanismo del trasferimento della quantità di moto, esse sono in grado di generare stimoli mirati prolungati per alcuni millisecondi per ottenere un’azione di efficacia fisiologica.

Le forze indotte in virtù di queste leggi fisiche durante il trasferimento della quantità di moto attraverso la trasmissione e la riflessione selettiva presso le interfacce tissutali possono determinare su queste ultime piccoli movimenti che causano l’allungamento e la deformazione di strati cellulari rendendoli per un breve lasso di tempo permeabili agli ioni e ad alcune molecole. Questo fenomeno è chiamato meccanotrasduzione. Secondo la concezione moderna, la meccanotrasduzione è considerata decisiva per molti meccanismi d’azione nell’ambito di applicazioni mediche basate sulle onde d’urto, poiché consente di comprendere la liberazione di numerose sostanze biochimiche fra cui ossido d’azoto (NO), fattori di crescita, sostanza P, etc18, 21.

Ma le onde d’urto hanno un’altra importante proprietà. Come nel caso dell’ultrasuono, i processi pressori primari si svolgono nel giro di pochi microsecondi, un tempo troppo veloce per la maggior parte delle dinamiche fisiologiche. La fisiologia della meccanotrasduzione implica azioni di forze per un periodo quantificabile in millisecondi, ovvero una durata notevolmente maggiore, in cui attraverso pori temporaneamente aperti, situati in membrane allungate, è possibile uno scambio di sostanze biochimiche. Il trasferimento della quantità di moto dell’onda d’urto durante la riflessione su un’interfaccia consente l’accelerazione delle masse interessate e l’esecuzione di piccoli movimenti nel giro di pochi millisecondi.

Onde d’urto e ultrasuoni hanno caratterizzazioni differenti: gli ultrasuoni inducono una sollecitazione alternata del tessuto che rientra in un campo di frequenza di alcuni megahertz, che in concomitanza con ampiezze elevate provoca a sua volta riscaldamento, lacerazione del tessuto e fenomeni di cavitazione9, 10. L’effetto delle onde d’urto si basa, fra le altre cose, su un effetto dinamico orientato in avanti (in direzione della propagazione delle onde d’urto) con trasferimento della quantità di moto sull’interfaccia. Tale effetto dinamico può essere incrementato fino al punto da riuscire a frantumare dei calcoli renali2, 3. Tali effetti dinamici si hanno sostanzialmente su interfacce con una resistenza acustica disomogenea, ma quasi mai in un mezzo omogeneo (tessuto, acqua)11. Ciò fa dell’onda d’urto lo strumento ideale per generare un effetto in zone profonde del tessuto senza pregiudicare il tessuto antistante.

Ma anche interfacce all’interno di strutture tissutali con una resistenza meno marcata sperimentano un effetto dinamico ridotto sotto l’azione delle onde d’urto. A seconda dell’intensità (fig. 11) il risultato può essere una distruzione meccanica di cellule, membrane o ad esempio di trabecole ossee11 oppure la stimolazione di cellule grazie alla deformazione reversibile della membrana cellulare12. È possibile quindi sia distruggere strutture friabili, come i calcoli renali, che indurre una stimolazione di strutture tissutali, il cui effetto è il processo di guarigione. Processi di questo tipo si possono osservare, ad esempio, in ortopedia36. La focalizzazione permette di circoscrivere l’effetto alla zona bersaglio, limitando o evitando così effetti collaterali ai danni delle aree esterne a questa zona.

La focalizzazione permette di agire miratamente su una determinata zona bersaglio.

Fra gli effetti della terapia a onde d’urto si osservano frequentemente un aumento dell’irrorazione sanguigna e un’accelerazione del metabolismo, cui si può imputare l’avvio del processo di guarigione.

Le forze di pressione e di taglio che l’accompagnano fanno sì che l’onda d’urto induca anche reazioni biologiche (vedi sopra). Il meccanismo che ne consegue è detto meccanotrasduzione. Gli effetti studiati e dimostrati scientificamente sono i seguenti:

  • Aumento della permeabilità cellulare15
  • Stimolazione della microcircolazione (sangue, linfa)16, 17
  • Secrezione della sostanza P18
  • Riduzione di fibre nervose non mielinizzate19
  • Secrezione di ossido di azoto (NO), responsabile della vasodilatazione, dell’accelerazione del metabolismo e dell’angiogenesi, oltre che antinfiammatorio20, 21
  • Azione antibatterica22
  • Secrezione di ormoni della crescita (vasi sanguigni, epitelio, ossa, collagene, etc…)20, 23, 24, 25
  • Stimolazione delle cellule staminali26, 27
  • Stimolazione delle cellule nervose (spiking dei neuroni)18, 33, 35

Effetto indiretto – Cavitazione

Oltre all’effetto dinamico diretto su interfacce delle onde d’urto, in determinati mezzi di trasmissione, ad esempio in acqua e in parte anche nei tessuti, si ha anche la cosiddetta cavitazione9.

Le bolle di cavitazione si formano non appena la sollecitazione dovuta alle differenze pressorie (pressione positiva/pressione negativa) indotte dall’onda d’urto ha attraversato il mezzo. Una gran parte delle bolle continua a crescere fino a circa 100 microsecondi dopo il passaggio dell’onda, per poi collassare con una violenta implosione, emanando a sua volta onde d’urto secondarie sferiche. Quando sono localizzate accanto a interfacce, le bolle di cavitazione non possono più collassare senza problemi. Il fluido, acqua o liquido corporeo, che rifluisce nella bolla non può più fluire indisturbato. La conseguenza è un collasso asimmetrico della bolla in concomitanza con la formazione di un microgetto di liquido (microjet)13. La velocità di questo getto di liquido diretto verso l’interfaccia è di alcune centinaia di metri al secondo (fig. 12).

L’energia e la forza di penetrazione dei microjet sono elevate e possono erodere dure interfacce di pietra. Al passaggio dell’onda d’urto il rilascio di gas generatisi nel sangue o nel tessuto provoca altre bolle, il fenomeno della cosiddetta “cavitazione morbida”, che possono provocare la lacerazione di vasi sanguigni o cellule di piccole dimensioni, causando microemorragie o la perforazione di membrane. La cavitazione non si limita all’area focale, benché in questa zona sia particolarmente marcate1, 8, 14.

Impiego mirato delle onde d’urto focalizzate

Un’applicazione mirata delle onde d’urto richiede il posizionamento dell’area focale nella zona da trattare. Nel caso di calcoli (litotripsia), ossa o di determinate strutture tissutali è possibile eseguire il posizionamento con l’ausilio di sistemi radiografici o ecografici. Nel caso della terapia del dolore si prende a riferimento il punto di maggior sensibilità al dolore, individuato parlando con il paziente. Il metodo del »biofeedback« permette di localizzare molti dei punti di trattamento sia superficiali sia più profondi.


Onde pressorie radiali (o balistiche)

Cosa sono le onde pressorie radiali?

Accanto alle onde d’urto focalizzate, la medicina moderna ricorre anche alle onde pressorie radiali. Il fisico Isaac Newton formulò il famoso principio di “azione e reazione” già nel 1687. Oggi, il funzionamento di un’apparecchiatura a onde pressorie a produzione balistica si basa esattamente sulla legge della conservazione della quantità di moto che da tale principio deriva.

La terapia con onde pressorie si basa sul principio newtoniano di “azione e reazione”, pubblicato dal grande fisico nel 1687.

Servendosi di trasmettitori dalla forma specifica, si trasmette al tessuto biologico, e di conseguenza alla zona dolente, energia meccanica sotto forma di onde pressorie acustiche. Le onde pressorie radiali balistiche, il cui impiego in ambito medico risale alla fine degli anni ‘90 del secolo scorso, sono un’alternativa conveniente, soprattutto per il trattamento di patologie muscolo-scheletriche.

Le indicazioni per il trattamento con onde pressorie radiali o onde d’urto focalizzate ed i successi terapeutici conseguiti con i due metodi sono molto simili28. Nella prassi si parla quindi di “terapia a onde d’urto radiali” (RSWT).

Benché dal punto di vista della fisica non sia corretto, le onde pressorie radiali sono spesso chiamate onde d’urto radiali.

Dal punto di vista della fisica non è tuttavia corretto usare il termine onda d’urto per definire le onde pressorie radiali: la durata dell’impulso di queste ultime è infatti notevolmente più lunga di quella delle onde d’urto. La lunghezza d’onda di un’onda pressoria varia da 0,15 a 1,5 m, mentre la lunghezza d’onda delle onde d’urto è di 1,5 mm, quindi significativamente minore. Ciò spiega perché, al contrario delle onde pressorie, le onde d’urto si possano focalizzare29.

Benché nella prassi le onde pressorie radiali vengano comunemente denominate onde d’urto radiali, i loro impulsi hanno una durata decisamente maggiore rispetto alle onde d’urto focalizzate.

Come si generano le onde pressorie radiali?

Le onde pressorie si generano attraverso la collisione fra due corpi solidi (fig. 14). La sequenza è: si ha l’accelerazione di un proiettile fino a una velocità di alcuni metri al secondo (fra circa 5 e 25 m/s, di molto inferiore alla velocità del suono in acqua pari a 1500 m/s), indotta servendosi ad esempio di aria compressa (analogamente al funzionamento di un fucile ad aria compressa), e quindi la sua decelerazione repentina sul corpo d’impatto (trasmettitore). Il corpo d’impatto, un corpo a sospensione elastica, viene posizionato sopra la zona da trattare a diretto contatto con la superficie corporea, solitamente interponendo un gel per accoppiamento per ultrasuoni. Al momento della collisione fra proiettile e corpo d’impatto una parte dell’energia cinetica del proiettile viene ceduta da questo al corpo d’impatto che per un breve tratto (solitamente < 1 mm) si muove per inerzia di traslazione a una velocità notevolmente minore (solitamente < 1 m/s) finché il tessuto accoppiato o il manipolo non arrestano il movimento del corpo d’impatto. Nel punto di contatto, il movimento del corpo d’impatto viene trasmesso al tessuto, dove genera un’onda pressoria radiale a propagazione divergente.

A determinare la durata dell’impulso pressorio (fig. 15) è il movimento di traslazione del corpo d’impatto, che all’interno dei tessuti varia da circa 0,2 a 5 millisecondi (ms). La durata degli impulsi pressori trasmessi ai tessuti è più lunga di quella delle onde d’urto e precisamente di un fattore 1000. Con questo metodo le pressioni di picco specifiche sono molto minori rispetto alle onde d’urto; variano da circa 0,1 a 1 MPa e sono quindi inferiori di un fattore 1001, 8.

La collisione sprigiona nel corpo d’impatto anche un’onda acustica ad alta frequenza (suono intrinseco). Per via della forte differenza fra le due impedenze acustiche (metallo, acqua) solo una minima parte (circa il 10%) di quest’energia oscillatoria irradia nel tessuto o nell’acqua. L’energia contenuta nella vibrazione acustica ad alta frequenza è notevolmente minore rispetto all’energia contenuta nell’impulso pressorio a bassa frequenza di cui sopra30.

Propagazione delle onde pressorie

Partendo dal punto di collisione del corpo d’impatto le onde pressorie, come descritte sopra, si propagano nel tessuto circostante con una diffusione radiale29. La densità d’energia dell’onda pressoria accoppiata al tessuto diminuisce rapidamente man mano che questa s’allontana dal punto di accoppiamento (proporzionalmente 1/r2). L’effetto maggiore si osserva nel punto di applicazione del corpo d’impatto, ossia sulla superficie cutanea (fig. 16).

L’effetto terapeutico delle onde pressorie radiali raggiunge sì una profondità di 3 – 4 cm, l’intensità maggiore si riscontra tuttavia in corrispondenza della superficie cutanea.


Parametri caratteristici delle onde pressorie / Misurazione delle onde pressorie

Data la durata molto più lunga dell’impulso e la minore ampiezza pressoria, la misurazione della pressione in acqua, usata comunemente per le onde d’urto, non è adatta come modello per le onde pressorie. Un metodo più efficace è quello di rilevazione della deviazione del corpo d’impatto (fig. 17) e della forza trasmessa su pseudotessuto in materiale viscoelastico. Comunque, dato che tali parametri dipendono in gran misura dal tipo di corpo d’impatto (trasmettitore) impiegato, si continua a indicare come misura dell’intensità la pressione che aziona e accelera il proiettile.


Effetti fisici e biologici delle onde pressorie

Le onde pressorie radiali generano vibrazioni nel tessuto che vanno a stimolare la microcircolazione e il metabolismo31. Nonostante i numerosi successi terapeutici, gli esatti effetti biologici sono stati sinora poco indagati dal punto di vista scientifico.

Malgrado le differenze fisiche, e i differenti campi applicativi che queste definiscono (trattamento superficiale o in profondità), è interessante notare che vi sono parziali analogie per quanto riguarda gli effetti della stimolazione e i meccanismi terapeutici. Le onde pressorie radiali sono particolarmente indicate per il trattamento di algie localizzate in zone superficiali. Nel caso delle sindromi dolorose miofasciali è imprescindibile applicare le onde pressorie radiali per distendere la muscolatura e/o le fasce prima o dopo il trattamento con le onde d’urto focalizzate.

L’analogia degli effetti derivanti dalle onde d’urto focalizzate e dalle onde pressorie radiali è spiegabile attraverso il meccanismo della meccanotrasduzione, alla base di entrambe le metodologie. Mentre le onde d’urto focalizzate permettono con un’onda corta di attivare gli impulsi della stimolazione in maniera mirata a livello superficiale o in profondità, nel caso delle onde pressorie radiali le limitate possibilità di focalizzazione consentono solo un’azione superficiale, con un effetto a calare in senso radiale nella profondità.


Onde d’urto e onde pressorie a confronto

Le onde d’urto e le onde pressorie si differenziano sia per le loro caratteristiche fisiche che per le diverse tecniche di generazione, ma anche per il numero di parametri abitualmente impiegati nonché per la profondità di penetrazione nel tessuto a fini terapeutici. Le differenze più spiccate sono riassunte nella tabella riportata nella fig. 18.

Per trattare punti dolenti localizzati, entesopatie croniche e punti trigger più profondi è preferibile impiegare il metodo delle onde d’urto focalizzate32.


Riferimenti bibliografici

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